La leggenda del Jiu-Jitsu Brasiliano
All’inizio del 1900 l’Impero Giapponese aveva recuperato credibilità presso gli Occidentali quale nazione moderna, e per ottenere questo riconoscimento aveva trasformato in profondità la trama stessa della sua antica società feudale. Per rimanere al passo con le potenze di Europa e America l’Imperatore aveva ordinato ai suoi sudditi di occidentalizzarsi in fretta e furia, abbandonando le ‘cose vecchie’ per aggiornarsi; tra queste anticaglie figuravano anche le arti da combattimento nazionali.
Nel tentativo di preservare qualcosa del vecchio Budo (arti da guerra), un insegnante di un’arte dal nome di Ju Jitsu (arte della cedevolezza) chiamato Jigoro Kano , creò un metodo sportivo moderno, con il fine di sistematizzare gli antichi Ryu (scuole) di Ju Jitsu e traghettare la tecnica nell’epoca contemporanea: il Judo.
Queste scuole avevano il nucleo della loro efficacia in temibili proiezioni e strette (leve e strangolamenti) e Kano dimostrò l’importanza del suo metodo d’insegnamento, che privilegiava un vivido sparring invece che ripetitivi Kata (forme), sconfiggendo regolarmente gli esponenti delle scuole tradizionali. Tale fu il successo del metodo Kano (all’epoca ancora chiamato Ju Jitsu) che – in virtù anche della partecipazione al CIO dello stesso Kano - finì per essere identificato con la Lotta Giapponese tout court anche all’estero.
Nei primi anni di vita di questa scuola si annoverarono vittorie continue sugli altri metodi, con l’eccezione di una cocente sconfitta contro una sconosciuta scuola chiamata Fusen Ryu. Il metodo di combattimento del Fusen Ryu era assai diverso dalle poderose proiezioni del Judo: consisteva in una raffinata strategia di lotta al suolo in cui imbrigliare e sottomettere l’avversario. I Judoka furono sconfitti e Kano chiese al caposcuola del Fusen Ryu di insegnare ai suoi la sua lotta al suolo, e così nacque un Judo diverso.
Ai primi del 1900 i top Judoka di Kano erano tutti jujitsuka convertiti e qualcuno era ancora legato al vecchio Fusen Ryu. Fu infatti facendo affidamento sulla superiorità tattica del Ju Jitsu al suolo che alcuni allievi di Kano se ne andarono per l’Occidente a vivere come combattenti di professione (Yukio Tani a Londra ad esempio).
Uno di questi giapponesi si chiamava Mitsuo Maeda e, dopo aver litigato con Kano che non ammetteva incontri per soldi, cominciò a lanciare sfide sotto la bandiera del Ju Jitsu.
Maeda era un adepto del Ju Jitsu ne waza (tecniche al suolo) e si accorse velocemente in che maniera poteva vincere questi bianchi assai più grossi e muscolosi di lui: portandoli a terra e finalizzandoli.
Maeda girò tutto il mondo e vinse una quantità incredibile di sfide, guadagnandosi il soprannome di Conte Koma e modificando via via il suo metodo in seguito alle esperienze fatte sul campo. Le proiezioni del Judo, basate sull’uso del GI (kimono) sparirono e si aggiunsero invece una serie di modifiche al precedente arsenale, con l’effetto di creare un ibrido assai ingegnoso, dove preponderante finì per diventare l’uso razionale del principio di leva e il posizionamento del corpo in relazione alla forza di gravità. Le preoccupazioni di Kano sulla sicurezza e il valore educativo per i giovanissimi non sfioravano Maeda, anzi. Egli cercava unicamente l’efficacia.
La fama di guerriero nazionale consentì a Maeda di conseguire un discreto credito, e partì per il Brasile dove il Giappone stava tentando di creare colonie.
Durante la permanenza in questo grande e violento paese Maeda intorno al 1914 ebbe dei problemi dai quali lo trasse un uomo con agganci presso i politici locali, Gastao Gracie, d’origine scozzese.
Maeda si sdebitò insegnando ai figli di Gracie la sua arte marziale, e questi ne svilupparono le potenzialità marziali fino alle estreme conseguenze: iniziava la saga della famiglia Gracie e la leggenda del Jiu-Jitsu (grafia brasiliana) brasiliano